
Articolo sulla prima bolognese di Conversazioni con Chomsky pubblicato sulla rivista Panorama in questo LINK.
"Non sono un filosofo, un politico, un economista o uno storico, nemmeno della musica. Eppure l’altra sera mi è stato chiaro, come mai prima, che esiste davvero il momento in cui la bellezza d’arte smette di essere assoluta e scende nel mondo, in mezzo alle tragedie sue, diventando così causa ed effetto di pensiero sociale.
C’è dunque un punto musicale in cui al puro godimento dell’ascolto si affianca una rivoluzione che, ancora mentre scrivo, turba felicemente il cuore. In queste Conversazioni succede che le idee del polemicissimo linguista americano sono letteralmente modulate da Casale non per un inutile apologo, ma per spingere a considerare quella radicale ripulsa del capitalismo e della sua degenerazione d’impronta neoliberista come l’espressione massima del senso di libertà che nell’uomo è innato.
Cioè, sostanzialmente, quel che l’arte stessa è. Col suo geniale frammischìo di melodie, armonie, immagini storiche, discorsi, impasti timbrici e ritmici originali eppure in tutta evidenza presi dalla cadenza del modo di parlare degli “involontari” protagonisti (lo stesso Chomsky, naturalmente; e poi, in ordine alfabetico, Berlusconi, Bush, Chavez, Foucault, Friedman, Pinochet, Reagan, la Thatcher…), la lezione indimenticabile di Casale è che la sua musica non appare in nulla una condanna a priori di chi la pensa in modo contrario, ma diventa di per se stessa il motivo ineludibile dell’unica domanda possibile al suo ascolto: ho forse avuto torto a pensarla tanto diversamente?
E la risposta è sì. Ciò che accade quando l’arte fa dell’impegno un profondo sentire.
Emanuele Casale e questa sua overdose di cuore e ragione mi hanno accompagnato da chi credevo di avversare. Mi hanno dimostrato innegabile che il dolore sociale prodotto dall’assenza di un riequilibrio della giustizia economica da parte dello stato, si trasforma in bruttezza di vita.
Quindi pure in bruttezza d’arte. Come non notare, per esempio, che ormai da anni la necessità di fare cassa, laddove manchi il giusto sussidio statale alla cultura, spinge molti teatri a scritturare famosi imbonitori invece di geniali sconosciuti? Non può essere così. Non deve essere così. Per me, caro Direttore, è questo il senso di libertà di quelle idee verdi incolori che, quasi fossero di Schumann, dormono furiosamente."
Nazzareno Carusi

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